Quella che vedete sopra è una immagine di Doha scattata il 13 novembre dall’ Operational Land Imager-2 (OLI-2) montato sul satellite Landsat 9.   La città, con una popolazione di 2,3 milioni di persone, si trova sulla sponda orientale di una piccola penisola sul Golfo Persico. Se ingrandite la foto della Nasa si vedono gli stadi del mondiale di calcio.

 

 

Gli stadi sono tra le caratteristiche più visibili costruite dal 2010, quando il Qatar è stato nominato città ospitante dell’evento. Ci sono otto stadi ufficiali, sette dei quali sono stati costruiti dal 2010. Tutti si trovano entro un raggio di 54 chilometri (33 miglia) da Doha, rendendo la 22a Coppa del Mondo l’evento geograficamente più compatto dal primo stadio organizzato dalla FIFA. torneo nel 1930.

 

 

Il Qatar ha speso 300 miliardi di dollari con la ‘b’ negli ultimi dodici anni per ospitare la Coppa del Mondo. Per Bloomberg, Simone Foxman, Adveith Nair e Sam Dodge hanno tracciato i flussi di denaro attraverso le immagini satellitari . Il cambiamento è sorprendente. In dodici anni il Qataar è diventato un altro Paese. Non a livello politico e culturale ma da un punto di vista urbanistico. Anche da un punto di vista tecnologico, negli stadi la temperatura è di circa 20 gradi, fuori è più del doppio. Questo grazie a un ingente investimento tecnologico con intuibili riacadute energetiche.

In questo senso, posto che nel Qtar non c’è un tema di risparmio energetico è forse utile scoprire come stanno le cose invece in termini di emissioni di CO2. Se andate su Climate Trace  potete fare il calcolo. Si tratta di una organizzazione senza scopo di lucro lanciata nel 2020 che utilizza immagini satellitari, dataset specifici del settore e altre fonti per stimare in dettaglio le emissioni di gas serra. Una premessa: non è facile determinare la quantità di CO2 prodotta dall’umanità, né tantomeno dimostrare se le nazioni stiano rispettando o meno gli impegni presi. Come abbiamo più volte ripetuto su questo blog, perché la CO2 è presente nell’atmosfera e perché anche i processi naturali, come la decomposizione della vegetazione e lo scioglimento del permafrost,  producono  CO2.  

 

 

Climate Trace che punta sui satellite tiene traccia meglio di altri delle emissioni che provengono dal gas e dal petrolio. Il metano è molto più facile da monitorare dallo spazio poiché viene liberato in grandi quantità dalle perdite dei pozzi di petrolio. Il loro inventario più recente, pubblicato la scorsa settimana , mette in evidenza oltre 70.000 singoli siti che “rappresentano le principali fonti note di emissioni nel settore energetico, produzione e raffinazione di petrolio e gas, spedizioni, aviazione, estrazione mineraria, rifiuti, agricoltura, trasporto su strada e la produzione di acciaio, cemento e alluminio”. Puoi scaricare i dati , esplorare le stime a livello di settore e di paese e sfogliare una mappa dei siti . Il risultato da 1,8 mld di tonnellate di Co2 equivalente che è quattro volte le emissioni dell’Italia. Nel 2020 l’Italia ha immesso nell’atmosfera 0,46 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente: una percentuale dello 0,90% sul totale delle emissioni globali che ci fa raggiungere il 22° posto in classifica.