Quando pensiamo a una di queste tre semplici parole è impossibile non collegare anche le altre due. Se pensiamo a Michael Jordan non si può non pensare agli anni del predominio dei Chicago Bulls degli anni ’90 e alle sneakers più iconiche sia per quanto riguarda le scarpe su un campo da basket che fuori dal parquet della NBA. Queste tre parole rappresentano la storia e sono legate tra loro in modo indissolubile.
Sia che siamo fan di lunga data della NBA o che ne abbiamo solo sentito parlare, conosciamo tutti Michael Jordan. Definito da molti il miglior giocatore di basket di tutti i tempi, ha influenzato la vita di quasi tutto il mondo. Per alcuni è diventato un idolo, un modello, un obiettivo, per altri nulla di tutto ciò, forse pensano a MJ solo quando cercano di fare canestro con una pallina di carta in un cestino, e tra loro sussurrano: “Michael Jordan”.
E chi di noi non lo fa?
Michael Jordan ha segnato la storia della pallacanestro, diventando lui stesso storia, mostrando cose mai viste prima, ha segnato la storia anche come icona, un’icona di stile e le sue scarpe hanno segnato la storia delle sneakers diventando un simbolo.
Oggi parleremo di una delle cose che Michael Jordan ha creato assieme a una delle case di sneakers più famose al mondo: “C’era una volta un paio di Jordan…”
Michael Jordan e l’accordo con Nike
La storia d’amore tra la casa sportiva di Beaverton, nell’Oregon, e la superstar dei Chicago Bulls non fu sempre facile e non ebbe un inizio così tranquillo. Le vicende le conosciamo bene, il giovane Michael voleva firmare a tutti costi con Converse o Adidas, ma i due brand non erano disposti a rischiare tutto su un giocatore che doveva ancora dimostrare chi era. Converse aveva già sotto contratto i principali giocatori NBA dell’epoca, da Magic Johnson a Larry Bird, da Julius Erving a Bernard King. Adidas all’epoca vestiva i campioni di sport individuali come il tennis, e neanche lei era disposta a puntare su Jordan creando una linea a lui dedicata.
“Mamma, non firmerò mai con Nike”, giurò un giovane Jordan alla signora Deloris, che saggia consigliò al figlio “di andare comunque ad ascoltare quello che i signori di Nike avevano da dire, anche se magari non gli sarebbe piaciuto”.
A lei si era dovuta rivolgere disperato l’agente di Jordan, David Falk, anche lui incapace di convincere la giovane stella. Così, spinto da Falk e dai propri genitori, MJ accettò l’incontro con Nike: “Andai alla riunione contro la mia volontà, e Nike fece questa grande offerta. Mio padre mi disse: ‘Devi essere un pazzo se non accetti: è l’offerta migliore’. E così feci”.
L’accordo era molto impegnativo dal punto di vista economico per Nike, al tempo un’azienda relativamente
giovane, si parlava infatti di 250 mila dollari, all’epoca i principali giocatori di Nike prendevano circa 100 mila dollari. Nike era pronta a tutto però per assicurarsi MJ. Vennero inserite tre clausole che potevano portare all’annullamento dell’accordo da parte dell’azienda dell’Oregon:
1) Jordan avrebbe dovuto vincere il premio di Rookie dell’anno NBA; 2) sarebbe dovuto essere un All-Star (o aver segnato almeno 20 punti di media); 3) le vendite delle scarpe avrebbero dovuto toccare i 4 milioni di dollari nei primi tre anni.
La storia oggi è leggenda: 28.2 punti di media al suo primo anno nella lega, convocazione per l’All-Star Game e premio di matricola dell’anno.
Le sue sneakers? Fruttarono a Nike 70 milioni di dollari nei primi due mesi di vendita!
Le Air Ship e la vicenda “BANNED”
Come prima scarpa Michael non indossò le famose Air Jordan 1, quelle arrivarono qualche mese dopo. Jordan fece il debutto nella Summer League con le Air Ship, disegnate da Peter Moore nel 1984. La storia di queste scarpe è condita con un velo di mistero. Le Air Ship furono indossate da Jordan in più colorazioni, tra cui la famosa “Bred” ossia la colorazione nera e rossa.
Questa particolare colorazione fu però “bannata” (da qui il titolo “Banned” a questa particolare colorway) dalla NBA perché non rispettava le regole stabilite dalla lega in materia. Visto che non vi era presente del bianco, colore che una scarpa doveva avere al suo interno, la lega decise di multare Nike con una sanzione di 5mila dollari ogni volta che Jordan fosse sceso in campo con quelle scarpe. E Nike cosa fece? Nike credeva nel giocatore e nel proprio prodotto quindi decise di pagare ogni singola multa, d’altronde erano tempi di cambiamento e chi se non quello che sarebbe diventato il giocatore più forte di tutti i tempi poteva rappresentarlo al meglio.
All’epoca non era chiara l’esistenza delle Air Ship data la somiglianza con le AJ1 e quando questa vicenda venne fuori, Nike disse che furono le Jordan 1 a essere state bannate, questa pubblicità creò così tanto clamore che le vendite delle Jordan si alzarono vertiginosamente. Come si direbbe adesso: good game Nike!
MJ con il designer Tinker Hatfield
Air Ship White/Red
MJ con le Air Ship
La storia delle Air Jordan
Nel 1985 venne creata quelle che diventerà una delle più iconiche scarpe, se non la più iconica. Nel 1985 rappresentava una stella, ad oggi nel 2020 rappresenta la storia, l’oggetto del desiderio di qualunque appassionato di sneakers e un vero proprio tesoro per i collezionisti. Iniziamo quindi questo viaggio nel tempo. Ora vedremo la storia delle prime 12 Air Jordan che hanno reso celebre la collaborazione tra il giocatore più forte di tutti i tempi e il brand dell’Oregon.
Air Jordan 1
Disegnate dall’head designer di Nike, Peter Moore, prezzo di lancio 65 dollari. Il lancio sul mercato avvenne tra marzo e aprile 1985, rappresentarono un cambio di rotta nella visione delle scarpe performance in un campo da basket.
Presentate in 14 colorazioni originali tra cui le più famose Chicago e le Bred. Su richiesta di Jordan, Nike disegnò queste scarpe con una suola bassa e taglio high, le scarpe presentano una tomaia in pelle con al lato un grande swoosh ed un logo dedicato alla linea di Michael Jordan costituito da un pallone alato sormontato dalla scritta “Jordan”.
Air Jordan 2
Nel novembre del 1986, Peter Moore e Bruce Kilgore disegnarono la seconda serie di signature shoes di MJ. La scarpa venne rilasciata in 2 formati: high e low top, al prezzo di 105 dollari. Per la prima volta in una scarpa Nike non comparve l’iconico swoosh. È disegnata in Italia e ispirandosi all’alta moda rappresenta una fucina per quanto riguarda i materiali, la tecnologia e il design elegante della scarpa, utilizzando pelle premium e materiali di altissima qualità.
Air Jordan 3
Con questa scarpa inizia difatti l’era di Tinker Hatfield, che diventerà uno dei migliori e più famosi designer di scarpe al mondo. Siamo nel 1987, Michael Jordan è pronto a lasciare Nike per Adidas quando Hatfield salta su un aereo per conoscere Jordan e disegnare una scarpa apposta per lui: “non si può costruire una grande casa senza conoscere le persone che ci abiteranno”. Le Jordan 3 si presentano con un taglio mid, non molto popolare all’epoca e apporta l’air unit visibile. Introduce per la prima volta una pelle morbida su una scarpa sportiva, la quale permette alla scarpa di risultare comoda già dalla prima calzata. Con le Jordan 3 nasce anche l’iconico Jumpman, il logo che rappresenta Michael Jordan schiacciare a canestro. L’anno delle Jordan 3, il 1988, rappresenta anche un anno fantastico per MJ in NBA, dominando la stagione vincendo il premio MVP e il premio di miglior difensore della lega. Lo spot commerciale era molto divertente e raffigurava MJ sotto Mars Blackmon, personaggio del film di Spike Lee “She’s Gotta Have It” (“Lola Darling” in italiano).
MJ con le AJ I
MJ con le A
Air Jordan IV
Dopo l’iconica J3, Tinker Hatfield deve superare sé stesso. Nel 1989, con il primo lancio globale del brand, presentano la Jordan 4. La scarpa si presenta simile alla precedente, con un taglio mid, l’air unit visibile, con un prezzo di retail sui 100 dollari, diventando così la più costosa scarpa da basket al mondo. Con un prezzo così alto deve rispettare uno standard elevato.
Hatfield introduce una rete di mesh nella parte frontale e laterale che rende la scarpa più leggera, un nuovo
materiale premium, il nubuk (simile allo scamosciato) e un sistema di allacciamento, grazie a dei supporti a forma di ali, che permettono di allacciare le stringhe in ben 18 modi differenti. Nella linguetta appare per la prima volta sotto il jumpman la scritta Flight. Le Jordan diventano un’icona di stile e streetwear fuori da un parquet della NBA. In quell’anno Michael dominò sul campo da basket portando Nike a pubblicizzare le scarpe attraverso numerosi spot con il regista Spike Lee: “It’s gotta be da shoes!”, sottolineando l’idea che Michael giocasse così bene grazie alle sue scarpe.
Air Jordan V
Febbraio 1990, esce il nuovo modello di Air Jordan, completamente rivisto dal precedente, disegnato ancora una volta da Tinker Hatfieild. Per la prima volta appare il lace lock e protezioni per la caviglia nelle due parti laterali. Il design si ispira al gioco di Michael inserendo nella parte davanti forme che ricordano i denti di uno squalo e l’aereo da combattimento britannico Spitfire della Seconda guerra mondiale. Per la prima volta si ha una suola semi-trasparente ispirata alla Nike Mag di Marty McFly di Ritorno al futuro II.
Air Jordan VI
Siamo nel 1991, la AJ 6 diventano famose perché rappresentano il primo anello di His Airness e relativo MVP delle Finals. In questa sneakers vengono portati alcuni elementi dalle Jordan 5 ma vengono aggiunti anche dei supporti per facilitarne la calzata, cosa che richiedeva Michael.
Possiamo infatti trovare due buchi nella linguetta e uno “spoiler” sul retro della scarpa. Lo spoiler è ispirato alla passione di MJ per le macchine sportive di lusso. Viene inserito un grande numero 23 nella parte laterale. È anche l’ultima volta che vedremo un simbolo del Brand Nike, visto che Jordan e Nike nel 1991 decidono di separarsi, diventando così un brand separato ma comunque legato alla casa madre.
MJ con le AJ IV
MJ con le AJ V
Air Jordan VII
Con un prezzo di 125 dollari escono le AJ7, disegnate ancora una volta da Tinker Hatfield, che ha ormai preso in mano la linea di scarpe di MJ. La Jordan 7 si ispira alla Nike Huaraches, soprattutto per la parte interna, e presenta disegni geometrici ispirati alla cultura africana. All’esterno non sono presenti elementi di marchio Nike, la scritta del brand dell’Oregon si può trovare solo nella soletta interna. La scarpa diventa un’icona del Dream Team del 1992, dove alle Olimpiadi arriva l’oro per gli USA. Nello spot commerciale appare Bugs Bunny per la celebre collaborazione nel film “Space Jam”.
Air Jordan VIII
Prezzo di lancio 125 dollari, designer sempre Tinker Hatfield. Le AJVIII hanno debuttato lo stesso anno in cui i Bulls di MJ e Pippen sono diventati leggenda vincendo per il terzo anno consecutivo il campionato NBA, mentre MJ guidava la classifica per il settimo anno consecutivo. Questo modello è l’unico della linea Air Jordan che presenta cinturini incrociati sopra i lacci e la colorazione Concorde / Aqua – Tone – Black (in grafica) lo ha reso un modello iconico degli anni ’90.
Air Jordan IX
Escono nel 1994, anno in cui Michael Jordan annuncia il suo ritiro, in parte dovuto all’omicidio del padre. Nonostante questo, il successo delle Air Jordan non poteva essere fermato e cosi Tinker Hatfield lancia questa silhouette come omaggio a diverse culture di tutto il mondo, perché in ogni parte del globo le persone volevano essere come MJ. Questo modello segna la globalizzazione del brand Jordan.
MJ con le AJ VII
MJ con le AJ VIII
Air Jordan X – XI
Nel 1994 vengono presentate le AJ10. Questo modello vuole omaggiare il percorso da superstar del puma di
Wilmington, ma già nel 95 MJ fa ritorno ai Chicago Bulls con le famosissime 3 parole “I’m back”. Giocherà una parte della stagione con le 10 e con la 11 che uscirà nello anno successivo. La particolarità delle Jordan 11 è l’inserto in pelle lucida su tutta la parte laterale, un materiale mai usato prima su una scarpa da basket.
Air Jordan XII
Questo è uno dei modelli più apprezzati, diventato leggendario grazie anche alla partita definita ”Flu Game” in cui Jordan segnò 38 punti nonostante l’indigestione a causa della famosa pizza dello Utah. È considerato uno dei modelli più resistenti di tutta la linea Jordan. L’ispirazione per la silhouette arriva dalle scarpe Nisshoki e dalla bandiera giapponese, infatti, le cuciture laterali ricordano i raggi del sole.
MJ con le AJ X
MJ con le AJ XI
MJ con le AJ XII
Nei successivi anni usciranno molte silhouette disegnate ancora una volta da Tinker Hatfield che lascerà poi il posto al designer Tate Kuerbis nel 2016, fino ad arrivare ad oggi con le Jordan 34 e 35, sinonimi di innovazione tecnologica.
Il cambiamento delle scarpe performance
Le Air jordan rappresentano la storia delle scarpe da basket, eppure la maggior parte delle scarpe usate su un parquet di pallacanestro durante gli anni 60-90 ora sono diventate sneakers casual o streetwear per tutti i giorni. Dalle Converse Pro Leather alle Chuck Taylor, dalle Adidas Superstar alle prime Jordan.
Come sono cambiate le scarpe da performance durante gli anni?
Ne abbiamo parlato con Luca Quattrone, collezionista, fondatore e proprietario di Double Clutch, rinomato negozio con sede a Verona che si occupa della vendita di articoli per la maggior parte relativi al mondo basket e streetwear. Luca e il suo team sono molti attivi sui social, dove hanno creato una propria community, creando contenuti di qualità tra cui utili presentazioni tecniche relative alle scarpe performance, e non meno importante, collaborando a progetti insieme a giocatori di pallacanestro tra cui Nicolò Melli, Gigi Datome, Danilo Gallinari e anche giornalisti sportivi come Alessandro Mamoli. Con quest’ultimo il video che racconta la storia delle prime 5 shoes del Black Mamba.
Le sue parole ci aiutano a capire il motivo per cui le scarpe performance hanno avuto dei cambiamenti:
“La scarpa per un atleta, e soprattutto per un cestista, è uno strumento di lavoro essenziale ed estremamente importante che può fare la differenza nella ricerca della best performance. Nel tempo quindi le evoluzioni tecnologiche hanno portato – e continueranno a portare – scarpe sempre più leggere, reattive, protettive in maniera tale da mettere l’atleta nelle migliori condizioni possibili per esprimersi al massimo delle sue potenzialità. Da non dimenticare anche la celebre frase di Deion Sanders: ‘If you look good, you feel good; if you feel good, you play good’. Questo per dire che nell’evoluzione della calzatura tecnica è importante anche il design stesso inteso sia come ricerca della massima funzionalità sia come ricerca della pura perfezione a livello estetico.”
Naturalmente, come abbiamo detto, la scarpa è un aspetto fondamentale del gioco, e essendo essenzialmente la cosa più importante per un giocatore, è cambiata con la modalità di gioco, essendosi evoluta con esso. Se avevamo quasi esclusivamente scarpe alte, ora si è capito che la protezione per la caviglia non dipende solamente dall’altezza della scarpa ma soprattutto dalla struttura posteriore sopra il tallone. In questo modo ora la maggior parte delle scarpe performance ha un taglio mid/basso. Ora il gioco è molto più veloce, più tecnico, più esplosivo, per questo abbiamo scarpe che danno molta importanza all’ammortizzazione, alla protezione dagli impatti e alla reattività.
L’evoluzione Jordan
Così come le scarpe in generale hanno avuto un percorso che ha poi portato al presente, anche le Air Jordan nel corso degli anni hanno apportato dei cambiamenti.
Luca continua dicendo: “Dovendo vestire il miglior giocatore della NBA, sviluppare e anche sfruttare la sua immagine, la chiave di lettura è sempre stata l’innovazione. Dalla Jordan 1 (1984-1985, ndr) alla Jordan 35 (2020-2021, ndr), Nike prima e Jordan Brand poi hanno continuato ad innovarsi e rinnovarsi, con design e tecnologie estremamente d’avanguardia che hanno fatto da apripista anche per altre divisioni dello stesso brand (come ad esempio lo Zoom Air o il carbonio nell’intersuola). D’altronde quando sei Jordan, che sia Michael o il Brand, hai sempre gli occhi puntati.”
Jordan oggi significa streetwear
In qualsiasi posto che visitiamo, da Milano a Londra, da New York a Tokyo, è impossibile non notare quante persone, soprattutto giovani, indossino Jordan Brand. Le sneakers della linea di MJ rappresentano un’icona di stile streetwear e fashion.
Cos’ha contribuito a questa esplosione di interesse? Ancora una volta ci vengono in aiuto le parole di Luca Quattrone:
“Sicuramente alla creazione di quello che è oggi Jordan Brand hanno concorso due fattori fondamentali: Michael Jordan e Nike. Il perché dell’importanza di MJ è quasi scontato, mentre per quanto riguarda Nike, fondamentalmente, si traduce in forte e buono marketing. È un discorso lungo e complesso che parte dal quel genio visionario di Phil Knight ed arriva ad una delle aziende più potenti del globo che si distingue per l’incredibile brand awareness e fidelizzazione del cliente. Tornando al marketing puro, semplicemente non sbagliano mai. Hanno sempre l’asset giusto che vestono con il pezzo giusto, campagne costruite ad hoc per cavalcare o anticipare egregiamente dei trend (vedi move to zero) ed eccellono nel creare ‘hype’ o attesa, voglia. L’hype regola il mondo del collezionismo – non vale solo per le calzature – ed è assolutamente voluto e ricercato dal brand, che ama il mondo del resell e lo alimenta. Il resell è parte dello sneaker game, c’è dal giorno 0 ed è semplicemente connesso alla scarsità di prodotto che mantiene alto l’hype e ci porta a voler continuamente acquistare un nuovo ‘pezzone’.”
Jordan Off-White
Ciò che ha alimentato l’attenzione per il brand Jordan sono state sicuramente le collaborazioni con artisti, rapper famosi, con brand di streetwear come Supreme, Off-White, e icone di alta moda quali Dior.
“Nel 2020 Jordan Brand è icona di ‘coolness’ a tutti i livelli, sia per gli appassionati di basket che idolatrano MJ sia per chi non segue minimamente la palla a spicchi ed indossando il Jumpman si sente più vicino a miti contemporanei quali Travis Scott o Billie Eilish”, continua Luca.
Oggi comprare un paio di Jordan è davvero difficile data l’altissima domanda in confronto alle poche paia disponibili. Questo ha alimentato sicuramente il mercato del resell, non è infatti strano trovare su siti di restock paia di scarpe a prezzi altissimi poco dopo l’uscita online.
Le Air Jordan nel 2020
Come ultima cosa abbiamo chiesto a Luca Quattrone cosa significa per lui indossare AJ nel 2020: “Io, molto sinceramente, indosso scarpe Jordan perché mi piacciono molto a livello di design e spesso perché cado preda dell’hype generato dal brand. Con il tempo per colpa del mio lavoro ho cambiato la mia visione dello sneakergame allontanandomi un po’ dall’amore incondizionato che provavo per Nike e Jordan, ma continuo a pensare che siano senza dubbio il miglior brand di sneaker sulla piazza. Hands down.”
Nel 2020, sia che siamo collezionisti o no, abbiamo sicuramente sentito parlare di MJ e delle sue Air Jordan.
Ciò che vediamo oggi è solo il risultato, 30 anni fa nessuno poteva immaginare ciò che sarebbe diventato. Siamo solo spettatori e contemplatori della storia, viviamo il presente e questo si traduce ancora una volta in Michael Jordan.
Alcuni definirebbero ciò che “His Airness” ha fatto e ha costruito intorno a sé “immortale”, ma cosa significa diventare immortale, o meglio quando una cosa può diventare tale?
Come esseri umani che hanno un inizio e un’inevitabile fine il concetto di immortalità ci sfugge, facciamo così fatica a comprenderlo che a volte potrebbe anche spaventarci. Ma è possibile creare qualcosa che non morirà mai?
Sono passati più di 30 da quando il 26 ottobre 1984 debuttò un giovanissimo Mike, che dopo qualche anno avrebbe dominato la NBA. Eppure, Jordan è più attuale che mai.
Tutti parlano di Jordan, si vestono come lui, indossano le sue scarpe, in poche parole vogliono essere come lui.
Non ci resta che accettare ciò che disse Macklermore nella sua canzone Wings: “Cause I wanted to be like Mike, right. Wanted to be him. I wanted what he had…”
Classe 1963, leader dei Chicago Bulls, 5 volte vincitore del premio come miglior giocatore NBA (MVP). Michael Jordan è una delle maggiori icone sportive di tutti i tempi e, un pò come il Re Mida, trasforma in oro tutto ciò che tocca. In questo caso ci riferiamo alle famosissime sneakers che portano il suo nome.
Sprannominato THE GOAT ( Greatest of all times), nel 1984 MJ firmò un contratto con Nike per la creazione di un paio di scarpe da basket personalizzato in occasione del suo debutto nell’NBA.
Il primo prototipo Air Ship
In un altro articolo abbiamo parlato di quanto Jordan desiderasse giungere ad un accordo con adidas, accordo mai raggiunto. Nike risultò infatti essere l’ultima ruota del carro, l’ultima spiaggia, per cui il ritardo nelle trattive comportò la mancanza di tempo per la creazione di un modello personalizzato.
Così Nike, che aveva qualche sneaker sportiva nel suo arsenale, propose le Air Ship. Disegnate da Bruce Kilgore, queste scarpe erano praticamente delle Nike Air Force 1 High con tutti i dettagli del modello OG come la tomaia in pelle, le perforazioni sull’avampiede, lo Swoosh laterale e l’intersuola spessa con tecnologia Air incapsulata. Conservavano tutto meno la linguetta in velcro optando per un full lacing system. Ad oggi il nome di queste sneakers è finito nel dimenticatoio perchè in realtà non apportavano niente di nuovo alle altre scarpe da basket, l’unico aspetto degno di nota è che furono le prime in assoluto indossate da MJ al suo debutto.
Da menzionare è la somiglianza con le future Jordan. Nike infatti, non avendo avuto il tempo di produrre le Jordan ma con un design già definito in mente, scelse le Air Ship per “ingannare” il mondo spacciando le due diverse sneakers per uno stesso modello.
Le scarpe bandite dal campionato
Le Nike Air Ship furono lanciate in esclusiva per Michael Jordan nella colorazione Black/Red e sfoggiate nella partita contro i Knicks del 19 ottobre 1984. David Stern, commissario NBA, le bandì dal campionato proibendo al giocatore di poterle riutilizzare a causa delle restrizioni sui colori delle uniformi. Conseguenza: una multa da 5000$ a partita. THE GOAT continuò ad indossare le Air Ship nella colorazione Black/Red durante 3 partite e Nike coprì la multa finchè non uscì la colorazione White/Red. Ma non pensate che fu una perdita, Nike ne trasse un bel vantaggio.
Nike Air Ship – image from House of Heat
Air Jordan 1 – image from Sole Collector
Sfruttando lo scalpore del divieto della commissione NBA, Nike mise a punto una brillante strategia di marketing quando lanciò le prime vere Jordan Air 1 puntando tutto sul soprannome “banned”.
Nike regina del marketing
La voce fuori campo dello spot pubblicitario dice chiaramente “On September 15, Nike created a revolutionary new basketball shoe. October 18, the NBA threw them out of the league. Fortunately, the NBA can’t stop you from wearing them. Air Jordans. From Nike.” * dipingendo MJ come un bad boy ribelle e rendendo le AJ1 le sneakers più desiderate dell’epoca.
*Il 15 settembre Nike creò una nuova e rivoluzionaria scarpa da basket. Il 18 ottobre la NBA la bandì dalla lega. Fortunatamente l’NBA non può impedirti di indossarle. Air Jordan. Di Nike.
È il momento di fare un pò di ordine su questa avvincente strategia di marketing: le scarpe “banned” furono le Air Ship ma Nike utilizzò questa storia per la release delle Air Jordan 1 Black/Red, sfruttando la somiglianza tra i due modelli e facendole passare per la stessa scarpa. Perchè questa scelta? Perchè le Air Ship non furono mai prodotte per il pubblico mentre le Air Jordan 1 sì e quindi bisognava creare hype intorno al modello con lo scopo di aumentare esponenzialmente le vendite. Tutto chiaro?
L’inizio della dinastia Jordan
Disegnato nel 1985 da Peter Moore, il design di questa sneaker è ben noto e non ha bisogno di lunghe descrizioni. Si tratta di una scarpa da basket dal profilo alto realizzata in pelle e dotata di tecnologia Air per un’ammortizzazione reattiva.
Ciò che davvero è importante in questo modello è il logo Jumpman. Apparso per la prima volta sulla tomaia delle Air Jordan 1, nasce da uno shooting di MJ per New Balance.
Il giocatore dichiarò in un’intervista che in quel momento era semplicemente in piedi e decise di saltare aprendo le gambe mentre sosteneva il pallone con la mano sinistra. Il fotografo scattò la foto di quel salto ormai leggendario e il resto è storia. La posa Jumpman fu successivamente utilizzata negli shooting Nike come marchio distintivo del brand. Questa è l’origine dell’omino stilizzato che salta per fare canestro, accompagnato dall’altrettanto famoso logo Wings (una palla da basket con le ali).
Il mondo del basket, dentro e fuori dal campo, ha sempre seguito attentamente la carriera di Michael Jordan e così anche ciò che si metteva ai piedi. Lanciando un nuovo modello ogni anno, la collaborazione Nike-Jordan creò il bisogno di acquistare ed ottenere un nuovo paio di sneakers. In realtà non “un” paio di sneakers, ma “quel” paio di sneakers!
Dagli anni ’80 ad oggi sono uscite veramente tantissime colorazioni delle Air Jordan 1 ma le più famose in assoluto sono sempre la “Banned” e la “Chicago”.
Dal primo all’ultimo modello Jordan, puoi vedere qui l’evoluzione del brand attraverso le sue release anno per anno e scoprire la sneaker to buy in ordine cronologico.
uventus, Chelsea, Monaco e Inter sono solo alcune delle tappe della carriera straordinaria del professor Antonio Pintus, oggi preparatore fisico del Real Madrid. Accompagnato da una parte del suo gruppo di preparatori (Giuseppe Bellistri e José Perales), Pintus nel corso del proprio intervento ha voluto condividere parte del lavoro di staff del proprio club di appartenenza, ma soprattutto ci ha parlato dell’importanza dell’allenamento dei giovani atleti.
La condivisione
All’inizio Pintus nell’ottica di una proficua condivisione, per cercare di rompere la monotonia del solo dialogo, ci ha subito proposto alcuni video degli allenamenti del Real Madrid, attraverso i quali è stato possibile interpretare immediatamente e capire alcuni degli obiettivi della loro metodologia e il loro modo di agire. In particolare, ci è stato mostrato il test di valutazione aerobica tramite l’utilizzo del metabolimetro K5.
Il test si effettua a una velocità costante di 18 km/h, si percorrono 50 m con una fase di recupero che va diminuendo col trascorrere del tempo; permette di estrapolare il massimo consumo di ossigeno, la massima velocità aerobica che risulterà poi utile per individualizzare il lavoro intermittente per ogni calciatore. Un altro video interessante proposto ha fatto riferimento al lavoro in palestra, dove non ci si focalizza su una metodologia isotonica o isoinerziale oppure funzionale, ma si cerca di sfruttare tutti gli stimoli in una progressione di carico graduale e controllata.
L’allenamento aerobico nei giovani
Nella fase centrale dell’intervento l’attenzione del prof si è focalizzata sulle finalità dell’allenamento aerobico nei giovani. La premessa doverosa riguarda il cuore, uno dei muscoli più importanti e potenti del corpo umano, il quale – se non dovesse funzionare adeguatamente – a risentirne sarebbe tutto il sistema fisico. Detto ciò, è quindi essenziale e imprescindibile allenare la funzionalità cardiaca attraverso l’allenamento della resistenza aerobica. Considerato anche il suo passato da allenatore di atletica, Pintus ha toccato un aspetto reputato relativamente importante, ossia che attraverso l’allenamento cardiaco e di capacità aerobica si va a incrementare la funzionalità cardiaca in termini di capacità di assunzione del sangue a livello ventricolare.
Se però con i giovani, che non sono ancora completamente sviluppati, si agisce soprattutto con allenamenti intermittenti ad alta intensità, andando oltre la soglia anaerobica, avremo un deficit di sviluppo della capacità ventricolare di assumere ossigeno a fronte di un’ipertrofia delle pareti. Quindi, se da un lato questo risulta molto positivo con atleti maturi, con i giovani un cuore troppo ipertrofico sarà sì potente, ma con poca capacità di gettata sistolica e conseguentemente una limitazione della performance. Coi ragazzi dunque bisogna focalizzarsi pure sulla capacità aerobica di base, il che non vuol dire accantonare stimoli oltre soglia ad alta intensità, ma conviene predisporre un training cardiaco “fondamentale” aerobico anche tramite l’utilizzo delle ripetute effettuate in prossimità della soglia anaerobica.
La corretta respirazione
Un altro concetto essenziale da curare, spesso trascurato, è l’allenamento della corretta meccanica respiratoria. Purtroppo, secondo l’esperienza pluriennale di Pintus, nei settori giovanili, ci si focalizza solo ed esclusivamente sull’utilizzo dell’allenamento con la palla e non si curano alcuni aspetti come la muscolatura respiratoria. Il consiglio per allenare la corretta meccanica respiratoria è quindi quello di effettuare dei lavori individualizzati con le cosiddette “vecchie” posture Mezieres, ponendo un accento particolare su quella diaframmatica e curando l’inspirazione e l’espirazione lenta. Inoltre, si sottolinea come il diaframma abbia gli stessi punti di inserzione di un muscolo determinante per la locomozione umana quale l’ileopsoas. Basti pensare infatti che alcuni problemi a livello lombare sono legati proprio all’ileopsoas e possono essere prevenuti e curati ottenendo un’ottimale meccanica respiratoria e di conseguenza una buona funzionalità del diaframma.
La tecnica di corsa
Un’altra nota dolente nei giovani risulta la tecnica di corsa. Infatti, ci si accorge di come i giocatori che arrivano in prima squadra nei professionisti non sappiano correre o lo facciano non correttamente. L’analisi di tale aspetto non si limita a una pura valutazione estetica, bensì a una questione biomeccanica che porta il giocatore a protrarre un gesto non ottimale ad alta intensità per l’intera durata di una partita e di conseguenza ad avere un maggior dispendio energetico, nonché un incremento esponenziale del rischio di infortuni.
Un esempio pratico, che è stato mostrato tramite l’ausilio di un filmato, riguarda lo skip, che è considerato dal prof l’esercizio d’eccellenza per il miglioramento della tecnica di corsa (nella foto 1 lo stesso Pintus che effettua la proposta). Bisogna però curarne l’esecuzione nei minimi dettagli e, anche a livello amatoriale, tramite l’ausilio degli smartphone si possono filmare i ragazzi mostrando loro come corrono oppure come svolgono uno skip. E conseguentemente insegnare una tecnica ideale. Con questo non si vuole trasformare una squadra di calcio in una di atletica leggera, ma è indispensabile saper correre bene. Infatti per quanto un calciatore corra frequentemente col baricentro basso per un miglior controllo della palla, in alcune fasi decisive della gara, come un’azione da gol, esprimendo altissime velocità e con un’ottima tecnica di locomozione, si possono cambiare le sorti di un incontro in pochi secondi.
La valutazione funzionale e il carico
Nell’ultima parte dell’intervento la parola passa ai due collaboratori José Perales e Giuseppe Bellistri, e si torna nell’ambito prima squadra. José ha analizzato il tema dei test di forza, che vengono effettuati per due motivi principali: il primo riguarda il rendimento della squadra e il secondo la possibilità di avere un riferimento per quei giocatori che dopo essersi infortunati dovranno tornare ad allenarsi con il gruppo. Tramite i test di forza vengono valutate inoltre eventuali dismetrie tra un arto e il controlaterale, considerando un soggetto a rischio infortunio se questo stesso deficit dovesse superare il 15%. Giuseppe Bellistri invece ha approfondito l’argomento riguardante il carico e la programmazione delle settimane tipo. I giocatori, tutti i giorni, durante le sedute indossano la classica pettorina con GPS, la fascia cardio e al termine di ogni sessione si richiede la percezione dello sforzo tramite la scala di Borg.
Il messaggio importante che lo staff vuole mandare è che prioritariamente per programmare le sedute si applicano quelli che sono i concetti di fisiologia e di metodologia dell’allenamento e solo successivamente si ricorre al GPS e a tutti i vari strumenti che vanno scelti come supporto e non per costruire un metodo vero e proprio. Per quanto concerne la settimana tipo, ci viene spiegato come il giovedì sia il giorno in cui il volume e l’intensità si abbassano per far recuperare il giocatore all’interno della settimana. Il martedì è dedicato all’attività aerobica con un maggior volume, mentre il mercoledì è quello con l’intensità più importante, dove solitamente viene effettuato un intervento di forza prima della parte in campo. Il venerdì si alzano ancora il volume e l’intensità, principalmente per un contributo tecnico-tattico per poi “scaricare” il sabato per prepararsi al meglio per il match.
Nel caso di un doppio impegno settimanale, ossia la situazione più frequente, la dinamica cambia e ciò su cui si pone l’attenzione è la gestione del carico, cercando di allenare al meglio i calciatori che non hanno giocato integrando anche con il lavoro senza palla. La relazione si è chiusa con un appello del professore sull’importanza del confronto e della condivisione costante al fine di migliorarsi: «Sarebbe bello mescolare le nostre esperienze e soprattutto le nostre problematiche con gli altri colleghi, non siamo qui, ad esempio, per dare delle certezze ma per cercare di migliorarci sempre. E ci sono tantissime cose che sicuramente si possono evolvere positivamente tramite il confronto e la condivisione».
Le Converse, sono tra le sneackers di tendenza più diffuse al mondo, un modello dallo stile intramontabile, sempre attuale.
Converse: le origini
La società statunitense, fu fondata da Marquis M. Converse, nel 1908 col nome “ Converse Rubberr Shoes Company”.
Inizialmente, l’azienda produceva galosce e altri modelli di calzature in gomma, da donna, uomo e bambino. Successivamente, il fondatore per aumentare la notorietà del marchio decise di produrre scarpe adatte al basket, sport che iniziava a riscuotere grande successo a quei tempi.
Converse: la nascita del mito
Il successo del brand è legato all’utilizzo di questo modello di calzature nello sport. Nel 1923 in collaborazione con Chuck Taylor, un noto giocatore di basket, nacquero le All Star Converse, il prodotto più famoso del marchio.
Taylor, voleva una scarpa che potesse migliorare il suo gioco. Si innamorò delle All Stars e contribuii al suo miglioramento per adattarle al basket. Tanto si innamorò delle sneackers proposte da Converse che girovagò per l’America per decantarne le doti.
Nel 1922, contribuì alla pubblicazione del primo “Converse Basketball Yearbook” , un annuario che racchiudeva foto e interviste di tutti i giocatori di basket che indossavano le All Star.
Il contribuito prezioso di Chuck Taylor fu “premiato” dall’azienda e il suo nome fu inserito sul patch delle scarpe.
Negli anni 30, Taylor ideò per le Olimpiadi del 1936, un nuovo modello di All Star. Sneackers che riprendevano i colori della bandiera americana, bianche e con rifiniture in rosso e blu.
Negli anni 60, 70 e 80 le Converse erano molto in voga anche nel mondo della musica, molti musicisti e cantanti di band rock, come i Ramones, ad esempio, indossavano queste scarpe e questo contribuì notevolmente alla loro distribuzione anche tra il pubblico di massa.
Nel 1986 Converse propone: The Wheaper, un modello di sneackers da basket disponibili in diverse combinazioni di colori per adattarsi a tutte le squadre, reperibili sia nella versione “low cut” che “high top”.
Converse: l’acquisizione di Nike
Nel 1992 la società americana trasferisce la produzione in Asia perdendo l’etichetta di made in Usa, questo contribuì al suo fallimento poiché si lasciò ampio spazio all’imitazione.
Nel 2003 Nike acquistò per 305 milioni di dollari il marchio Converse e propose nuovi modelli di All Star colorati e con differenti fantasie.
Attualmente, le Converse, godono di un’ indiscussa notorietà, sono un modello di sneackers must have, adatte ad ogni outfit.
Come appoggi
Qual'e il tuo tipo di appoggio? Per scoprirlo metti un paio di scarpe con cui hai percorso almeno 500km su un piano e, osservandole da dietro, individua a quale dei seguenti disegni(A,B,C) assomigliano di piu.
Se non siete da un ortopedico sportivo, fate attenzione e dubitate di chi vi fa correre sul tapis-roulant per capire che appoggio avete; quasi sempre vi fanno indossare scarpe leggere( A1 - A2, o peggio ancora a piedi nudi) in modo che, a ritmi lenti, l'appoggio risulta sempre, o quasi, in pronazione. Comunque, tenete sempre presente che:
la leggera pronazione è normale e non va corretta con scarpe stabili ( A4)
per scarpe stabili, in Italia, si intendono sempre le A4 e vanno usate, salvo eccezioni, solo in caso di ECCESSO di pronazione.
l'usura della suola della scarpa (nel tallone esterno) non c'entra NULLA con l'appoggio
non esistono scarpe antisupinazione, in questo caso vanno usate sempre le A3
se avete un plantare personalizzato, usate SEMPRE scarpe neutre ( A3 - massimo ammortizzamento)
Come corri
LAVORO
VELOCITÁ
APPOGGIO
GARA O RIPETUTE
VELOCI
MENO DI 3'30"
NEUTRO O INVERSIONE
SUPERLEGGERA
ECCESSO DI PRONAZIONE
SUPERLEGGERA CON UN BUON CONTROLLO DEL MOVIMENTO
PIÙ DI 3'30"
NEUTRO O INVERSIONE
INTERMEDIA
ECCESSO DI PRONAZIONE
INTERMEDIA CON UN BUON CONTROLLO DEL MOVIMENTO
FONDO MEDIO
MENO DI 3'45"
NEUTRO O INVERSIONE
INTERMEDIA
ECCESSO DI PRONAZIONE
INTERMEDIA CON UN BUON CONTROLLO DEL MOVIMENTO
TRA 3'45" e 4'10"
NEUTRO O INVERSIONE
INTERMEDIA CON UN ELEVATO POTERE AMMORTIZZANTE
ECCESSO DI PRONAZIONE
INTERMEDIA CON UN BUON CONTROLLO DEL MOVIMENTO
PIÙ DI 4'10"
NEUTRO O INVERSIONE
MASSIMO AMMORTIZZAMENTO
ECCESSO DI PRONAZIONE
STABILE CON ELEVATO PORTERE AMMORTIZZANTE
LUNGO LENTO
MENO DI 4'30"
NEUTRO O INVERSIONE
MASSIMO AMMORTIZZAMENTO
ECCESSO DI PRONAZIONE
STABILE CON ELEVATO PORTERE AMMORTIZZAMENTO
PIÙ DI 4'30"
NEUTRO O INVERSIONE
MASSIMO AMMORTIZZAMENTO
ECCESSO DI PRONAZIONE
STABILE
Le categorie delle scarpe
La prima cosa da fare prima di incominciare a correre è capire che tipo di scarpa si adatta meglio alle proprie esigenze. Le scarpe da corsa si suddividono in categorie secondo le caratteristiche tecniche che possiedono.
Il padel è uno sport molto simile al tennis e più ancora al paddle tennis. Lo si gioca a coppie in un campo chiuso da muri. I giocatori utilizzano delle racchette chiamate pale (padelin spagnolo) e delle palline identiche a quelle in uso nel tennis, da cui differiscono perché hanno una minor pressione interna, ciò permette di rendere il gioco più lento e i colpi più gestibili.
Un pò di storia
Ad inventare il padel fu il messicano Enrique Corcuera. Volendo costruirsi un campo di paddle tennis in casa, ebbe l’idea di utilizzare i muri che gli impedivano di tracciare il campo come parte del gioco stesso. Nel 1969 Corcuera stabilì il regolamento del gioco chiamandolo padel.
Il padel divenne subito molto popolare in America Latina e in Spagna e lo è tuttora, soprattutto in Argentina. Il primo campo di padel in Italia fu aperto nel 1991 a Costabissarra, in provincia di Vicenza. Negli ultimi anni il padel ha registrato un successo crescente nel nostro Paese, dove il numero dei campi è andato aumentando in maniera esponenziale. Delle circa 1200 strutture oggi attive in Italia, circa un terzo di trova nel Lazio, concentrato nella città di Roma. Ma anche in altri grandi città come Milano, Torino o Palermo si va diffondendo la passione per questo sport. Attualmente in Italia il gioco del padel fa capo alla FIT.
Come si gioca a Padel?
Le regole del padel sono simili a quelle del tennis. La regola più originale di questo sport è quella per cui la palla può colpire le pareti dopo il primo ribalzo a terra nel campo avversario, inoltre i giocatori possono colpire i muri della propria metà in modo che la palla superi la rete con il rimbalzo. A differenza del tennis il servizio si esegue dal basso e facendo prima ribalzare la palla a terra. Strategicamente si trova in vantaggio la coppia che riesce a conquistarsi la posizione di gioco sotto rete. Le coppie del Padel possono anche essere miste.
La superficie di gioco di un campo da padel è equirettangolare e misura 20m per 10. I muri laterali sono alti 3m, mentre quelli di fondo 4. Lungo i lati del campo viene montata una grata di metallo in modo da rendere i ribalzi imprevedibili. Nei campi più importanti i muri sono di vetro in modo da permettere agli spettatori di seguire il gioco.
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